James Rorimer e la tutela del Giardino delle Tuileries

Una veduta dei giardini a opera di Claude Monet

Antistanti al Palazzo del Louvre, i giardini delle Tuileries sono il parco pubblico più antico di Parigi: risalgono al XVI secolo, quando la sovrana Caterina de Medici acquistò delle terre per creare del giardini all’italiana. Modificate nel tempo secondo le volontà dei diversi regnanti, le Tuileries rimasero una proprietà privata dei reali francesi fino alla Rivoluzione, quando divennero un Jardin National aperto al pubblico. Da allora i giardini sono entrati nel cuore dei parigini, che li amano per fare lunghe passeggiate.

I giardini delle Tuileries fotografati dall'alto
I giardini delle Tuileries fotografati dall’alto

Tuttavia quando il Monuments Man James Rorimer entrò a Parigi a inizio ottobre del 1944 i famosi giardini stavano rischiando di diventare sede di un accampamento militare. Rorimer non se ne capacitava: come potevano gli americani non riuscire a capire l’importanza di quel luogo?

Un po’ com’era successo a Napoli a fine settembre del 1943, i Monuments Men si erano resi conto non solo dell’importanza di proteggere il patrimonio dagli scontri armati ma soprattutto della necessità di impedire ulteriori danni causati dalle truppe anglo-americane di stanza in Europa. Anche Rorimer si accorse subito del rischio e lottò contro l’allestimento di un accampamento militare. Per il Monuments Man salvaguardare i giardini delle Tuileries non significava semplicemente proteggere un parco storico di interesse nazionale. Significava soprattutto compiere un gesto dal forte valore simbolico: restituire a un popolo martoriato dalla guerra un luogo d’eccellenza della propria vita sociale.

Una veduta dei giardini a opera di Camille Pissarro
Una veduta dei giardini a opera di Camille Pissarro

Rorimer riuscì a scongiurare la creazione dell’accampamento. Tuttavia la decisione delle autorità militari non impediva formalmente la circolazione di veicoli a motore nelle Tuileries, che divennero un grande parcheggio a cielo aperto nel cuore di Parigi. In breve tempo alcune statue che ornavano il giardino caddero a causa del traffico e le condutture di terracotta del XVII secolo furono messe a dura prova dal peso dei veicoli.

Non soddisfatto, il mastino James Rorimer (come veniva soprannominato) non mollò la presa e si dedicò per 10 giorni alla ricerca di una destinazione alternativa per i mezzi dell’esercito. Individuò l’Esplanade des Invalides, un luogo ricco di storia militare che ospita la sede vescovile dell’Ordinariato militare in Francia oltre al Dôme des Invalides, dove sono custodite le spoglie di Napoleone Bonaparte.

La tutela dei beni culturali e la tutela della salute e della socialità degli abitanti dei paesi occupati non sono le priorità dell’amministrazione di un esercito in tempi di guerra. Ci vollero settimane di attesa per ottenere una decisione delle autorità militari ma a fine novembre dello stesso anno James Rorimer poté ritenersi soddisfatto: i mezzi di trasporto avevano lasciano il magnifico giardino delle Tuileries, che era stato restituito alla città e aperto al pubblico.

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Educare un esercito alla difesa dell’arte: le lettere del capitano Posey

L'incipit di una lettera storica di Posey

Si può sensibilizzare un soldato alla tutela di un monumento storico?

Verso la fine del 1944 il fronte di battaglia si stava lentamente avvicinando alla Germania e il tema della protezione dei monumenti e dei beni artistici tedeschi iniziava a destare qualche preoccupazione: non si trattava più tutelare un Paese alleato occupato dal nemico ma di un Paese invasore.

Anche in Francia non era stato sempre possibile proteggere il patrimonio culturale: Nancy subì pochi danni mentre la cittadina di Metz fu teatro di una feroce battaglia, durante la quale un incendio bruciò la collezione di manoscritti medievali.

L’inverno obbligò le armate Alleate a fermare l’avanzata. Il Monuments Man Robert Posey approfittò della pausa per scrivere ai compagni d’armi una lettera insolita per i tempi di guerra: si trattava di una breve storia di Nancy e includeva informazioni di base sui monumenti di importanza culturale che i soldati avrebbero potuto incontrare nelle vicinanze. Uno strumento per renderli più consapevoli del territorio in cui si trovavano a combattere.

L'incipit di una lettera storica di Posey
L’incipit di una lettera storica di Posey

La lettera ebbe un grandissimo successo e il capitano Posey replicò l’esperimento con una seconda lettera su Metz.
Le lettere storiche di Posey furono talmente popolari tra i soldati che prima di arrivare a Treviri il capitano aveva già preparato un terzo scritto sui tesori culturali e artistici di questa città tedesca.

 

Ritratto di Robert Posey
Ritratto di Robert Posey

Posey temeva che la sua armata, una volta in Germania, avrebbe potuto mostrare meno rispetto per le sorti del patrimonio culturale e artistico tedesco: per questo si impegnò a sottolineare come la Germania fosse un paese con una ricca tradizione culturale, molto più antica del moderno e barbaro Reich.

Avreste mai pensato che in tempi di guerra un capitano potesse riuscire a coinvolgere i propri commilitoni con lettere di storia dell’arte?

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Frederick Hartt: lo studioso del Rinascimento innamorato di Firenze

La demolizione del Ponte di Santa Trinita a Firenze - 4 agosto 1944

Quando entrò a Firenze nell’agosto del 1944, il Monuments Man Frederick Hartt non riconobbe la città che aveva conosciuto da studente. I tedeschi in ritirata avevano distrutto i ponti cittadini per rallentare l’avanzata degli Alleati. Avevano risparmiato solo Ponte Vecchio ma in compenso avevano fatto detonare esplosivi nelle vie adiacenti per renderlo inaccessibile, distruggendo e danneggiando alcuni edifici storici come le famose torri medievali.

Fred Hartt lavorò per rimediare ai danni nel centro storico di Firenze, non senza attriti con il genio militare inglese. Da un lato, il genio militare spingeva per riportare Firenze alla vita civile, restaurando la rete idrica e liberando le strade dai detriti. Dall’altro Hartt era ben consapevole che le rovine degli edifici distrutti dalle esplosioni non potevano essere trattate come semplici rifiuti da gettare nell’Arno.

I ponti di Firenze distrutti nell'agosto 1944
I ponti di Firenze distrutti nell’agosto 1944

Dopo la fine della guerra Hartt tornò negli Stati Uniti per dedicarsi alla carriera di professore universitario e di pittore. Ma nel 1966, dopo più di 20 anni, prese un’aspettativa dall’insegnamento per tornare ad aiutare Firenze: si impegnò a raccogliere fondi negli Stati Uniti per il restauro dei beni danneggiati dalla grande alluvione.

Frederick Hartt in una foto d'epoca
Frederick Hartt in una foto d’epoca

Le autorità italiane non hanno dimenticato la dedizione di questo Monuments Man: ricevette la cittadinanza onoraria di Firenze e fu nominato cavaliere ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

Oggi Frederick Hartt riposa a Firenze, nello stesso cimitero delle Porte Sante che ospita personaggi illustri come Carlo Collodi. Vicino alla Basilica di San Miniato al Monte il tenente della Monumenti può godere dall’alto della vista della sua amata Firenze, che contribuì a salvare durante e anche dopo la Seconda guerra mondiale.

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George Stout, il “padre” della sezione Monumenti

George Stout con il Polittico dell'Agnello Mistico

La cittadina americana di Winterset conta poco più di 5.000 abitanti ed è famosa per aver dato i natali a due illustri americani: l’attore John Wayne e il Monuments Man George Stout.

Prima della Seconda guerra mondiale, Stout aveva lavorato come assistente al Fogg Art Museum, il museo dell’università di Harvard, dove si era dedicato alla conservazione delle opere d’arte, studiandone i materiali, le cause di degrado e i possibili interventi di restauro. Tuttavia a partire dal 1936, con la guerra di Spagna, divenne evidente a tutti gli esperti del settore culturale che le nuove armi di guerra avrebbero potuto recare alle opere d’arte danni ben più gravi di quelli fino ad allora studiati dai conservatori. Fu così che anche George Stout iniziò a lavorare a un opuscolo sui danni causati alle opere d’arte dai bombardamenti aerei, fino ad ampliare le proprie riflessioni a un vero e proprio piano per affrontare in maniera sistematica il tema della protezione delle opere d’arte nelle zone di guerra.

Stout avanzò le sue proposte in una famosa riunione tra importanti direttori di musei americani nel dicembre del 1941. Tuttavia si scontrò con le resistenze dell’establishment culturale americano: un mondo dirigenziale fatto di relazioni personali e di interessi politici, poco digeribile per un operatore museale, figlio di operai, abituato a lavorare sul campo. Così nel 1943, di fronte a una situazione di empasse, Stout decise di arruolarsi nuovamente in marina, dove aveva già servito durante la Prima guerra mondiale: voleva rendersi utile e cercare di dare un contributo alla protezione del patrimonio europeo.

Illustrazione Artonauti Roosevelt
Sulla destra, con i baffi, George Stout nell’album Artonauti dedicato al Novecento

Malgrado la diffidenza di Stout, i direttori dei musei americani fecero pressione sul presidente Roosevelt e ottennero la nomina di una commissione dedicata a organizzare la protezione delle opere d’arte nelle zone di guerra. Era il dicembre del 1943 e questa decisione del Presidente americano pose le basi per la nascita della sezione Monumenti, Belle arti e Archivi: le idee avanzate da Stout, un tempo accompagnate alla porta, sembravano rientrare dalla finestra.

Fu così che nel 1944 George Stout fu chiamato a far parte della nascente sezione Monumenti e fu tra i 15 Monuments Men che sbarcarono in Normandia con lo scopo di proteggere i beni culturali dai furti e dalle distruzioni di guerra. Si distinse per essere un lavoratore instancabile, un uomo di infinita gentilezza stimato da tutti i colleghi. Già nel dicembre dello stesso anno ottenne una promozione e si occupò del coordinamento degli altri uomini della sezione, alternando sopralluoghi sul campo alla stesura dei rapporti per le autorità militari. Seppur lontano dal campo di battaglia, dal suo ufficio Stout seguiva le operazioni di guerra tramite grandi mappe, tenendo traccia di tutte le informazioni raccolte dagli interrogatori con lo scopo di individuare i nascondigli delle opere rubate dai nazisti.

George Stout alle prese con il salvataggio della Madonna di Bruges di Michelangelo
George Stout alle prese con il salvataggio della Madonna di Bruges di Michelangelo

Nella seconda metà del Novecento Stout divenne un conservatore di fama internazionale ma il contributo di Stout durante la Seconda guerra mondiale fu dimenticato, complice la sua personalità discreta con cui sminuiva l’importanza del suo lavoro. Eppure nel 1945, a 47 anni, Stout aveva contribuito alla creazione della sezione Monumenti, formato i nuovi membri del suo reparto, ispezionato quasi tutti i nascondigli tedeschi a sud di Berlino e a est del Reno, percorrendo quasi 80.000 km, e tutto con un solo giorno e mezzo di permesso. Per dirlo con le parole del collega Monuments Man Lincoln Kirstein:

“Era il più grande eroe di tutti i tempi.
Ha concretamente salvato le opere d’arte mentre tutti parlavano di farlo”.

 

La citazione è tratta MONUMENTS MEN: Eroi alleati, ladri nazisti e la più grande caccia al tesoro della storia, un libro scritto da Robert M. Edsel, edito da Sperling & Kupfer.

 

Ritratto di George Stout
Ritratto di George Stout

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Pasquale Rotondi: l’uomo che nascose Giorgione sotto il letto

Opere d'arte portate il salvo nella Rocca di Sassocorvaro

Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, le massime autorità della cultura italiana avevano intuito che Mussolini avrebbe potuto seguire la Germania nel conflitto. Per scongiurare il pericolo dei bombardamenti aerei, il Ministero dell’Educazione Nazionale diede vita alla cosiddetta “operazione salvataggio”, che prevedeva lo spostamento delle opere d’arte mobili fuori dai centri urbani e la protezione in loco di quei beni che non potevano essere movimentati per motivi di carattere logistico.

Fu così che quando Mussolini dichiarò guerra alla Francia nel giugno 1940, il giovane Pasquale Rotondi, storico dell’arte e da poco Sovrintendente alle Gallerie e alle Opere d’Arte delle Marche, stava già lavorando per mettere in salvo i capolavori delle collezioni marchigiane nella Rocca di Sassocorvaro, un Comune poco distante da Urbino.

La Rocca di Sassocorvaro in una foto d'epoca
La Rocca di Sassocorvaro in una foto d’epoca

L’organizzazione di Rotondi colpì molto il collega Rodolfo Pannucchini, Sovrintendente di Venezia, che chiese a Rotondi di ospitare i capolavori dei musei veneziani. Iniziò così un lento esodo di importantissime opere d’arte verso il territorio amministrato da Rotondi e la Rocca di Sassocorvaro fu lieta di ospitare opere come la Tempesta di Giorgione e il tesoro della Basilica di San Marco, provenienti da Venezia.

Con il peggiorare della guerra crebbe la preoccupazione per altri tesori della Penisola, soprattutto per le collezioni della Lombardia e del Lazio. I depositi di Rotondi sembravano la soluzione ideale ma la Rocca di Sassocorvaro aveva raggiunto la piena capienza con le collezioni veneziane. Rotondi recuperò un nuovo rifugio, una residenza offerta dai principi di Carpegna, e grazie a questo nuovo nascondiglio anche i reperti archeologici del Castello Sforzesco poterono trovare rifugio nella Marche, insieme ai Caravaggio romani provenienti dalla chiesa di San Luigi dei Francesi. Seguirono a stretto giro opere provenienti dalla Pinacoteca di Brera e dal Museo Poldi Pezzoli di Milano, al punto che entro l’estate del 1943 Rotondi arrivò a custodire oltre 3.800 capolavori provenienti da tutta Italia.

Pasquale Rotondi in una foto d'epoca
Pasquale Rotondi in una foto d’epoca

Con l’armistizio dell’8 settembre l’Italia cambiò fronte e vide il proprio territorio occupato dai nazisti. A fine ottobre un evento particolarmente spiacevole scosse Rotondi: un sopralluogo di soldati tedeschi a Palazzo Carpegna, convinti di trovarci armi e munizioni, determinati a ispezionare le casse nascoste nel palazzo. Ne aprirono solamente una in cui trovarono i manoscritti di Giochino Rossini, sancirono che si trattava di vecchie scartoffie e se ne andarono. Tuttavia, l’episodio fu sufficiente ad allarmare Pasquale Rotondi, che corse alla Rocca di Sassocorvaro, dove prelevò alcuni capolavori per trasferirli direttamente a Villa Tortorina, dove risiedeva: tra questi, passarono alle cronache il San Giorgio del Mantegna e soprattutto la Tempesta di Giorgione, tela che nascose direttamente sotto il proprio letto.

La Tempesta di Giorgione e il San Giorgio del Mantegna
La Tempesta di Giorgione (sulla sinistra) e il San Giorgio del Mantegna (sulla destra). Immagini @Wikimedia Commons

Era ormai evidente che i due depositi marchigiani non sarebbero stati sufficienti a proteggere le opere da una guerra di terra ormai imminente. Fu così che alcuni importanti esponenti delle istituzioni culturali italiane entrarono in contatto con Monsignor Montini per ottenere l’aiuto del Vaticano: per quanto possa sembrare paradossale, la cinta muraria della Santa Sede, nel cuore di un grande città come Roma, sarebbe stata la scelta più sicura.

Papa Pio XII si offrì di custodire le opere dei depositi marchigiani ed Emilio Lavagnino, ispettore centrale della direzione delle Antichità e belle arti, raggiunse Rotondi nella Marche, munito di autocarri e di prezioso carburante. Rotondi e Lavagnino poterono così attuare i loro piani, trasportando le opere in sicurezza nella Santa Sede: si trovarono a viaggiare di notte, sotto la pioggia e la neve, su strade dissestate a causa delle bombe. Lavagnino aveva raggiunto Rotondi il 20 dicembre del 1943 e le operazioni durarono fino al 16 gennaio 1944.

Lavagnino continuò successivamente a effettuare incursioni a Roma, per portare in salvo altre opere delle chiese e dei musei romani. Il Vaticano si trovò così a custodire forse la più grande concentrazione di opere d’arte di valore inestimabile mai vista: oltre alle collezioni vaticane, ospitò i capolavori di alcuni dei più importanti musei italiani, come la Pinacoteca di Brera, le Gallerie dell’Accademia di Venezia, la Galleria Borghese e il Museo Nazionale di Napoli.

La guerra non era ancora finita ma alcuni dei più grandi tesori dell’arte mondiale, per il momento, potevano essere dichiarati al sicuro.

Un ritratto di Pasquale Rotondi
Un ritratto di Pasquale Rotondi

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Primavera a Firenze: il caso della statua senza testa

Frammenti della statua di Primavera del Ponte di Santa Trinita

​Il 4 agosto del 1944, in fuga da Firenze, i tedeschi fecero saltare i collegamenti tra le due sponde dell’Arno per rallentare l’avanzata degli Alleati. Si salvò solamente il Ponte Vecchio mentre furono distrutti tutti gli altri ponti cittadini, tra cui il Ponte di Santa Trinita, progettato da Bartolomeo Ammannati su disegno di Michelangelo.

I quattro angoli del Ponte di Santa Trinita erano decorati da quattro statue allegoriche dedicate alle quattro stagioni, fatte costruire a inizio del XVII secolo in occasione del matrimonio tra Cosimo II e Maria Maddalena d’Austria. Con la distruzione del ponte anche le quattro statue scomparvero, cadendo sul fondo dell’Arno.

La demolizione del Ponte di Santa Trinita a Firenze - 4 agosto 1944
La demolizione del Ponte di Santa Trinita a Firenze – 4 agosto 1944

Le quattro statue furono recuperate e tornarono a splendere sul Ponte di Santa Trinita in occasione della ricostruzione, quando fu riconsegnato alla città di Firenze nel 1958. Tuttavia la statua della Primavera era rimasta senza testa: il danno era stato probabilmente causato dall’esplosione del ponte ma iniziarono a circolare le voci più disparate sul destino del pezzo mancante, tra cui l’ipotesi che la testa potesse essere stata trafugata da un soldato Alleato.

Fu così che l’agente di commercio fiorentino Giuseppe Fantacci coinvolse la sua azienda – l’americana Parker, ai tempi produttrice di penne – nel tentativo di recuperare la testa. Fantacci convinse la Parker a mettere una taglia di 3.000 dollari sul frammento di statua mancante, creando un vero e proprio manifesto in stile “wanted” tradotto in tutte le lingue parlate dai soldati arruolati nell’esercito anglo-americano ai tempi della guerra.

L'annuncio di Giuseppe Fantacci
L’annuncio di Giuseppe Fantacci

Iniziò così una vera e propria caccia al tesoro che vide coinvolte numerose famiglie fiorentine che, armate di barchino, si immersero nell’Arno per cercare la testa di Primavera. Dovettero passare tre anni – era ormai il 1861 – quando un renaiolo, dragando il fondo del fiume, si imbattè casualmente nella testa di Primavera: la ritrovò proprio in fondo all’Arno, dove molto probabilmente aveva sempre trascorso i 17 anni passati dalla distruzione del ponte. Il renaiolo ottenne in ricompensa solo poche migliaia di lire perché la ricompensa, dopo anni di ricerche senza successo, era già stata devoluta in beneficienza. La testa recuperata fu successivamente esposta a Palazzo Vecchio prima di essere ricollocata sulla stata di Primavera, sul Ponte di Santa Trinita.

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