Il nome Monuments Men non deve indurci in errore: la sezione Monumenti dell’esercito alleato fu animata anche da donne. Se è vero soldati che seguirono le azioni militari sul campo furono tutti uomini, complice la bassissima percentuale di donne arruolate nell’esercito anglo-americano e regole militari che impedivano loro di portare armi, molte donne diedero un contributo fondamentale alle delicate azioni di restituzione delle opere d’arte rubate e movimentate durante la guerra.
Edith Standen fu protagonista di una carriera vertiginosa che la portò in pochi anni dai corpi ausiliari femminili dell’esercito americano fino a essere la responsabile del centro di recupero di Wiesbaden, una delle tre strutture con il compito di smistare e restituire in piena sicurezza tutte le opere dislocate in Germania da parte dei nazisti durante la guerra.
Standen lavorò a stretto contatto con l’eroina francese Rose Valland, con cui strinse amicizia, e si distinse per essere tra i firmatari del manifesto di Wiesbaden, un documento con cui molti ufficiali della sezione Monumenti si opposero al tentativo di portare negli Stati Uniti alcune opere d’arte sottraendole alla Germania, a guerra conclusa. Questi 200 capolavori appartenevano allo stato tedesco e vennero trasferiti alla National Gallery of Art di Washington, ufficialmente con lo scopo di conservarli e di restituirli alla Germania non appena avesse riacquistato la sua dignità di nazione, macchiata dai crimini di guerra. Standen si ritrovò obbligata a supervisionare le opere di imballaggio presso il centro di Wiesbaden dovette eseguire gli ordini seppur contraria. Il triste episodio si concluse positivamente con il rientro delle opere in Germania grazie alla pressione dell’opinione pubblica americana seguita alla pubblicazione del manifesto.
L’ultima Monuments Woman vivente fu Motoko Fujishiro Huthwaite, americana di origini giapponese che si distinse per una vita davvero straordinaria. Nata a Boston e figlia di un dentista di Harvard, fu obbligata a emigrare con la madre in Giappone dopo l’attacco di Pearl Harbour. Il padre fu internato in un campo di detenzione con l’accusa di spionaggio e poté raggiungere la famiglia solo un anno dopo, segnato fisicamente e psicologicamente dall’esperienza. La famiglia di Motoko Fujishiro viveva a Tokio quando la città venne bombardata dagli americani e quando vennero sganciate le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki.
Dopo la guerra ottenne un lavoro presso la sezione giapponese della sezione Monumenti proprio perché bilingue in inglese e giapponese. Si occupò soprattutto della trascrizione dei rapporti di altri Monuments Men e conobbe George Stout, in servizio in Estremo Oriente dopo l’avventura sui campi di battaglia in Europa. Motoko Fujishiro decise di tornare negli Stati Uniti negli anni ’50, dove riuscì a coronare il suo sogno: diventare un’insegnante di inglese. Ottenne una laurea e un dottorato e si dedicò all’insegnamento per tutto il resto della sua vita.
La Monuments Men Foundation for the Preservation of Art, un’organizzazione internazionale che mantiene viva la memoria degli uomini e delle donne che hanno servito nella sezione Monumenti, riuscì a rintracciare con Motoko Fujishiro solo nel 2009: rintracciare le donne che avevano servito nella sezione Monumenti non era sempre stato facile perché spesso negli anni si erano sposate e avevano acquisito il cognome del marito, diverso dal cognome da nubili con cui erano ricordate nei documenti della Sezione. Ultima donna vivente della sezione Monumenti, Motoko Fujishiro Huthwaite ci ha purtroppo lasciato nel maggio 2020 a causa dell’emergenza coronavirus. Nel 2015 era riuscita a partecipare insieme ad altri colleghi della sezione Monumenti alla Cerimonia della Congressional Gold Medal, onorificenza con cui il parlamento americano ha voluto ricordare le imprese del Monuments Men (and Women).