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Anche gli anziani si scoprono Artonauti: le figurine come gioco sociale e terapeutico

Artonauti album terapeutico anziani

Come ha scoperto l’album?
Sono una psicologa psicoterapeuta e collaboro con il Centro Residenziale per Anziani Umberto I di Priove di Sacco, in provincia di Padova. Credo di aver scoperto l’album in televisione, ho una figlia di 12 anni: mi è venuta in mente un’idea che ho subito condiviso con la mia collega educatrice poiché lavoriamo sempre in equipe multiprofessionale. Ho pensato a questo signore che è in casa di riposo da qualche anno, ho acquistato l’album in autonomia e l’ho portato in struttura, con un piccolo contributo dell’ufficio animazione stiamo comprando le figurine man mano.
Antonio ha 85 anni, è abbastanza lucido ma molto depresso. Ha una grande passione per l’arte, coltivata in maniera individuale, autonoma, non scolastica: faceva il contadino ed è stato autodidatta. Parlava di quadri col medico del paese che era un suo grande amico e che gli consigliava quali opere comprare e così nel corso della sua vita ha collezionato opere che gli piacevano.
In passato avevo già ideato un progetto d’arte per lui cercando immagini su Google ma non avevo avuto grandi soddisfazioni. Quando ho visto l’album mi è piaciuto il fatto di poter proporre uno strumento che potesse procedere per gradi e che potesse essere coinvolgente. Non ho trovato l’album infantilizzante, al contrario dà la possibilità di avere finestre di utilizzo che iniziano e finiscono in un preciso momento: ad esempio, perché abbiamo 10 figurine da attaccare. Sono stata convinta dall’album come strumento, unito al fatto che trattasse d’arte – un tema che interessa molto Antonio.

Come ha pensato di utilizzare l’album?
Ho disegnato un progetto per Antonio che coinvolge me, l’educatrice della mia equipe e gli altri educatori della struttura che sanno del progetto e che chiedono ad Antonio quali figurine ha attaccato per stimolare il dialogo.
Abbiamo anche coinvolto Emma, volontaria del servizio civile che attacca con lui le figurine. Anche lei non aveva grandi conoscenze di storie dell’arte e adesso si è appassionata: ha visitato il sito di Artonauti e ha iniziato a seguire l’account Instagram. Si è messa a fare ricerca su altri siti e ha pensato ad altre attività da proporre ad Antonio.
Nel disegnare questo progetto mi interessava molto la dimensione del confronto tra generazioni. Un conto è un progetto riabilitativo fatto e condotto da me; un altro conto è poter contare sul supporto di una ragazza di 24 anni. Va oltre al semplice concetto di visita, di “andare a trovare qualcuno”, perché è un progetto che coinvolge entrambi in prima persona.
Nello specifico, come è articolata la vostra attività?
La nostra attività funziona in questo modo: Emma passa in camera al mattino e dice ad Antonio che nel corso della giornata attaccheranno delle figurine. Si danno appuntamento a più tardi a un’ora prestabilita.
In questo momento teniamo noi l’album perché, banalmente, a domanda Antonio ha risposto che preferiva lo tenessimo noi. L’album viene proposto 2 o 3 volte a settimana, secondo la sua preferenza, ma non meno di due volte a settimana. Viene proposto dalla volontaria del servizio civile che parla con me prima e dopo la somministrazione, ho una supervisione molto attenta.
L’album viene proposto al mattino perché è molto importante che per Antonio si crei un concetto di aspettativa e di riorientamento spazio temporale anche se non è allettato. Emma chiede se Antonio vuole che attacchi lei, se vuole attaccare lui le figurine e poi parlano di altro a partire dalla figurina che hanno attaccato. È un progetto riabilitativo in piena regola, quindi multidiscipliare: Emma tiene un diario degli incontri, nota quali pittori hanno incontrato, come ha reagito.
A supervisione conclusa, io lascio consegna di cosa è stato trattato quel giorno agli operatori della struttura, in modo che siano allineati per poter dare vita a una conversazione più ampia, per vedere cos’ha fatto Antonio e cosa si ricorda. Per Emma è importante il mio intervento successivo agli incontri in modo da migliorare la capacità di lettura del comportamento di Antonio.

Ad oggi, che risultati ha ottenuto con l’album?
Siamo agli albori di questo progetto, posso dire che Antonio si ricorda un sacco di cose a proposito dei quadri che incontra. Tuttavia non stiamo lavorando sulla stimolazione della memoria e sto apprezzando i risultati dell’utilizzo dell’album come approccio non farmacologico a una situazione di tono dell’umore decisamente flesso.
Antonio è una persona che da sola non ha piaceri: se vai a trovarlo in camera non sta guardando la TV, lo trovi sdraiato a letto con la luce spenta, non vede l’ora di andare a dormire. Il fatto che Antonio, dopo avere dato appuntamento alla nostra volontaria al mattino per attaccare le figurine, si prepari e la aspetti all’ora stabilita è per me un grande risultato, alla luce della sua patologia e del suo carattere.
Antonio non vive come questa attività come gioco ma come occasione di incontro e come piacere personale.
Anche quando lavoravamo con i quadri al PC notavo che con certe opere si illumina proprio: cambia espressione facciale, cambia modalità di entrare in relazione con te. Nel suo caso specifico, in questo progetto più che un valore ludico vedo un valore relazionale, che non saprei nemmeno se definire culturale. Io sono una grande appassionata di lettura e nelle sue espressioni ritrovo le facce che faccio io quando leggo un bel libro.
Aggiungo che, più della dinamica della figurina che manca, è importante il concetto del buco vuoto che verrà riempito, della dimensione di attesa legata alla collezione, al senso di progettazione per dare senso al tempo di una persona a uno che starebbe a letto tutto il giorno. È poi ugualmente importante per recuperare l’emotività che quasi nessun’altra attività riesci a fargli recuperare.

Qual è stata la prima reazione di Antonio?
La primissima reazione, proprio per il suo carattere, è stata un misto di diffidenza e di “vediamo”. C’è voluto del tempo per spiegargli che l’album parlava di arte e che Emma proponeva questa attività proprio perché parlava di arte. Emma era stata inizialmente demotivata da questa reazione, noi conoscendo Antonio l’abbiamo tranquillizzata perché sapevamo che la sua prima risposta è sempre no.
Dopo questa iniziare diffidenza c’è stata la sorpresa: ha scoperto questo meccanismo delle figurine si attaccano, Antonio non aveva nemmeno la cultura di cosa sono e come funzionano gli album di figurine in generale. Adesso Antonio non vede l’ora di scambiare le sue doppie con altri e gradirebbe un album sull’arte del ‘900 che è la sua preferita in assoluto.
Per il futuro, sta pensando a qualche uso particolare di album e figurine per il suo lavoro?
Conduco un gruppo di psicoterapia di solo donne, di 15-16 persone, in questo caso mi occupo di stimolazione cognitiva semplice, classica. Mi piacerebbe molto proporre al gruppo questo album o eventuali altri perché queste donne non hanno la più pallida idea di cosa possa essere l’arte, hanno fruito pochissimo di questo aspetto della vita.
Mi piace il fatto che l’album sia un oggetto concreto. Guardare uno schermo è un conto, toccare e appicciare una figurina un altro, anche solo per poter dire: “Santo Cielo che bello questo quadro!”. Per loro sarà importante attaccare fisicamente figurine che ritraggono qualcosa che non si è mai visto in TV o nella vita: chiedersi di chi è l’opera, conoscerne la storia. Nella cornice di un progetto che resta riabilitativo e di stimolazione cognitiva ma che vuole avere un impatto culturale su un gruppo di persone che non ha mai fruito dell’arte, partendo da qualcosa che è fisicamente toccabile.
Mi sono resa conto che per gli anziani è fondamentale il vuoto nell’album. Le parti bianche ti consentono una proiezione, una progettazione, una aspettativa che con un’immagine digitale completa non hai. E poi questo vuoto piano piano diventa pieno e qui sì che scatta una soddisfazione simile a quella di un bambino, che ti fa pensare: “Questa pagina l’ho finita, questa cosa l’ho fatta, guardata, imparata.
Poi un album tra le mani mi consente di guardare un’immagine a lungo, per quanto tempo ho bisogno, di ritornarci se necessario. Un’immagine al PC o proiettata appare più lontana. A maggior ragione per un gruppo con un’età media di 88 anni, per loro una proiezione è un po’ come la televisione: è bello vedere un’immagine grande ma non ne hanno un’esperienza diretta.

Cosa è piaciuto di più e cosa ha piaciuto di meno ad Antonio?
Presto per dirlo, dovremmo risentirci tra almeno sei mesi. Sarebbe anche molto interessante per vedere come procede il progetto, oltre questo inizio che è molto buono. Magari sarà Antonio stesso a suggerirci usi che non immaginiamo.C’è un episodio di questo progetto che l’ha particolarmente colpita?
Quando siamo arrivati a parlare di Van Gogh, Emma ha iniziato a raccontare la storia del pittore a partire da una figurina. Antonio ha iniziato a commuoversi: ha completato il la storia di Emma raccontando parti della vita dell’artista di Van Gogh che già conosceva e che si è ricordato. Mi ha colpito questo elemento: scatenare la commozione in un soggetto di questo profilo.
Attraverso le figurine abbiamo anche parlato di Roma e di un suo viaggio nella Capitale nel mese in cui era a militare e di cosa ha visto. Abbiamo parlato del suo rammarico di non aver mai visto gli Uffizi ma pensiamo di proporgli una visita virtuale con l’uso di un visore (se riusciremo!) e di molti altri momenti della sua vita, recuperando una memoria autobiografica che altrimenti sarebbe rimasta silente. Gli ho anche parlato della nostra intervista, è stato sorpreso e felicissimo!

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