«Lo scopo di Kandinsky era di insegnarci a vedere e non a dipingere».
Questa frase di Jean Leppien, che fu allievo di Kandinsky alla scuola del Bauhaus, dice tutta l’importanza dell’osservare.
Ancora prima del momento creativo, viene il saper vedere, azione che diamo per scontata, ma non lo è affatto. Ciò che prima ho osservato, fertilizza l’atto creativo. Allargando il concetto, potremmo dire che tutto ciò che ho esperito con il corpo, dunque vissuto, fertilizza la creazione.
Questo è ciò che accade ai grandi scrittori e ai grandi artisti: un buon romanzo è intriso della vita di chi scrive, così come un bel quadro di quella del pittore. Ma vale anche per i bambini: sono piccoli, hanno appena cominciato a costruirsi, hanno poca esperienza, ma è proprio attraverso l’esperienza che si formano, si definiscono, diventano ciò che sono in potenza.
Aiutiamoli ad “abitare il loro corpo”: insegniamo loro a percepire con i sensi, ad avvertire cosa accade dentro di loro sul piano emotivo, ad ascoltare e ascoltarsi, a osservare e quindi a pensare.
Sembra tutto semplice e naturale, e in parte lo è, perché nei bambini queste sensibilità sono innate. Ma affinché attraverso di esse avvenga la crescita e la scoperta del mondo che li circonda, dobbiamo coltivarle.
Fare esperienza non significa soltanto vivere l’esperienza, ma imparare qualcosa da quello che si è vissuto, in altre parole diventare capaci di leggere le situazioni, trovare soluzioni davanti alle difficoltà, mettere in atto il pensiero.
Perciò fare esperienza richiede innanzitutto tempo. E questo glielo dobbiamo regalare noi, genitori prima di tutti, ma anche insegnanti. Dobbiamo ascoltare le loro domande. Dobbiamo offrire loro gli stimoli giusti, al momento giusto. Nei bambini è innata una curiosità che li spinge a indagare ciò che li circonda e li guida ad apprendere. È la curiosità del bambino piccolo che guarda un insetto nel prato, lo osserva a lungo, è curioso di capire come è fatto e cosa farà.
È su questa curiosità che possiamo fare leva e insegnare ai bambini a comprendere ciò che vedono, ascoltano, toccano, sentono con tutto il corpo.
Da questo punto di vista, la più grande maestra è la natura, ben più che l’arte. E per natura non intendo la giungla tropicale, ma la piantina sul balcone da innaffiare ogni giorno per vedere se è cresciuta o l’aiuola del giardino della scuola.
Nella siepe di bosso del nostro giardino si annidavano i bruchi di piralide. Da quei tre bruchi che abbiamo osservato per mesi, fino alla crisalide e alla schiusa delle farfalle, in prima, è nato un universo di apprendimenti: dalla metamorfosi fino alla lotta biologica, passando per la poesia e il teatro.
Anche l’arte, però, è una maestra straordinaria. Stare seduti a osservare un quadro, con i propri amici, porterà lontano: sapersi gestire in un museo (compreso qualche momento di stanchezza), fino alla capacità di osservare in profondità, a lungo, per poi scoprire quello che di primo acchito non si notava, porterà a superare lo stereotipo della noia, perché anche le cose più semplici, se osservate con curiosità, diventano interessanti.
Diamo dunque, tante occasioni di esperienze ai bambini. Ma stiamo attenti a non equivocare: oggi è facile confondere le esperienze sensoriali e concrete, con competenze cognitive da acquisire e abilità da conquistare; si accelerano i tempi e si iper-stimolano i bambini, si anticipa il più possibile e si saltano le tappe.
La conseguenza di ciò è che i bambini avvertono pressioni molto forti: sono chiamati ad eccellere e a imparare in fretta, e questo carico di aspettative li rende spesso insicuri e fragili.
L’equivoco più grande, a mio avviso, è pensare che l’uso degli strumenti digitali concorra a sviluppare le loro capacità e la loro intelligenza. Semmai distoglie i bambini dalla realtà che li circonda, che è lì per essere scoperta. I bambini di oggi, spesso, non sanno soffiarsi il naso, non percepiscono se hanno caldo o freddo, sudano o gelano perché non sanno vestirsi da soli, non sanno allacciarsi le scarpe perché per la fretta preferiamo lo strappo, non sanno lavarsi e asciugarsi le mani. Non usano più le mani per ciò a cui servono.
Il disegno stesso si è “infantilizzato”. Tutto si concentra nell’anticipare gli apprendimenti cognitivi, in particolare le lingue straniere e l’informatica, che peraltro non andrebbe confusa con i videogiochi.
C’è di più, tutti gli schermi, dalla tv al cellulare, hanno effetti prodigiosi sui bambini: li zittiscono, li tengono immobili per tempi lunghissimi, a volte addirittura li addormentano. Questa è la trappola più insidiosa per i genitori ed è molto difficile non cascarci dentro.
Come può un bambino diventare competente se non ha ancora un’identità ben definita, non ha acquisito un buon controllo del proprio corpo, non usa le mani, non si ascolta, non sa vedere quello che lo circonda e passa diverse ore a guardare uno schermo che lo bersaglia di immagini e suoni, spesso inadatti alla sua età?
Ci sono cose apparentemente banali, che in realtà sono molto importanti: le piccole autonomie su di sé e in casa, l’uso delle mani per attività pratiche e manuali, il gioco e il disegno.
Molti bambini di oggi, spesso, non sanno giocare, non riescono a organizzarsi nella cornice di un gioco né da soli né con altri, si muovono frenetici senza un centro. Non sanno più neanche disegnare, perché c’è altro da fare, altre attività educative e apprendimenti che li preparino al futuro.
Nel percorso di esperienza dell’arte che faccio da anni con i bambini, le componenti tempo e semplicità è fondamentale. Sostare davanti a un’opera e osservarla a lungo: impressioni di insieme, scoperta dei particolari, confronto con le preconoscenze, riflessioni e classificazioni, suggestioni creative e invenzione personale sono passi fondamentali della conoscenza.
Se spetta ai genitori compiere le scelte per i loro figli («solo mezzora di videogioco, non di più!», «l’ultimo cartone e poi spegni», «tieni il telefono ma solo per poco»), sono in realtà i bambini a dirigere le danze: i tempi come minimo si raddoppiano, la contrattazione diventa un braccio di ferro e alla fine si cede, consolandosi con l’inganno che da grandi saranno dei validi ingegneri informatici.
È dimostrato invece il contrario: «Gran parte del pericolo della televisione e di altri media elettronici, come i videoclip musicali e i videogiochi, proviene dal loro effetto sull’attenzione».
I disturbi dell’attenzione e le difficoltà di concentrazione sono gli effetti più visibili tra quelli causati dall’uso degli schermi nella prima e seconda infanzia. Insieme alla scarsa abilità nella coordinazione mano-cervello. Ma più profonda è la mancanza di fiducia in sé che deriva da questo fragile rapporto con la realtà, nella quale molti bambini si orientano a fatica.
Il tempo per imparare a usare gli strumenti digitali non mancherà, come quello per imparare a scrivere, leggere, imparare le lingue, non è necessario anticipare tutto. Anzi, io credo che sotto sotto i bambini, anche quando piantano un capriccio per avere ancora un po’ di tv o di tablet, ci chiedano ben altro: un po’ del nostro tempo per ascoltarli, per stare insieme, per accompagnarli in un bosco, per leggergli una storia.
Dalla guida Imparare davanti a un quadro, di Giulia Orombelli.